Cellule e neuroni: una storia alternativa
Un tempo esistevano le cellule cerebrali che erano come tutte le altre cellule del corpo umano: laboriose, ordinate e attente. Facevano il loro dovere dalla mattina presto alla sera tardi, lavoravano anche di notte, se necessario. La domenica cucinavano per tutta la famiglia e a Natale preparavano pranzi pantagruelici per amici e parenti. Poi venne il ’68, con tutto il casino che si sa, le cellule scesero in piazza con dei grandi cartelli dove c’era scritto ” … E’ mia e la gestisco io” e tante altre cose divertenti e alla fine ottennero la parità.
Adesso non c’è più differenza. Le cellule cerebrali e i neuroni sono la stessa cosa e nessuno cucina più niente. All’ora di pranzo, invece di correre a casa affannate a mettere la pentola sul fuoco e preparare un pranzetto a velocità supersonica, vanno tutte in palestra. Li si fa ginnastica, la doccia, lo spuntino veloce e l’acchiappo, soprattutto quello. Spesso comunque, le cellule sono più arrabbiate delle loro mamme, che non andavano in palestra, perché, anche se adesso sono libere e hanno avuto la parità, pur sgobbando ogni giorno sugli attrezzi per essere in forma, sono quasi tutte single. Insomma, acchiappano meno delle nonne e delle mamme che non erano fisicamente in forma. Le cellule sfilano tutte in tiro e tutte uguali, sculettando e occhieggiando quando passa un neurone distratto, dondolano pericolosamente sui tacchi a spillo. Indossano autoreggenti, reggiseni imbottiti, reggicalze neri, microtanga invisibili, guepieres di pizzo nero e trasparente. Vanno spesso dal parrucchiere, dall’estetista, fanno la lampada abbronzante, si depilano due volte al giorno, spendono tutto lo stipendio in trucchi, e fanno un mutuo per le beauty farms e le creme che fanno dimagrire e ringiovanire. Ma sono sempre singles.
Le cellule cerebrali adesso lavorano tutto il giorno in ufficio, come i neuroni, e quando fanno carriera in fretta, tutti dicono che sono andate a letto col neurone capo. Anche quando non è vero. In ufficio parlano delle loro avventure passate, dal lunedì al mercoledì, e delle loro avventure future, dal giovedì in poi. Al venerdì sera vanno tutte al Pub, e ricominciano a cercare qualche neurone in vena di scherzare e di scopare un po’. Quando si lasciano, dicono sempre che stanno meglio così, perché lui non le meritava. Durante le ferie vanno in posti esotici, dove hanno avventurette con neuroni extracomunitari, che ce l’hanno grosso e duro, e quando tornano, lo consigliano anche a tutte le amiche rimaste a casa. Esagerando sempre molto sulle dimensioni. I neuroni sono immaturi, bambinoni e viziati. Abituati fin da piccoli alle coccole di mammine gelose e iperprotettive, da grandi sono capricciosi e intrattabili.
Vogliono tutto subito. E tutte li accontentano. Maturano più lentamente, invecchiano prima e muoiono presto. Fino a quarant’anni sono ragazzi, troppo giovani per fare qualunque cosa. Dopo i quaranta sono vecchi; troppo vecchi per capire qualunque cosa. Bisogna accettarli, guidarli, istruirli. E tutte lo fanno. Quando i neuroni e le cellule si accoppiano, sono allegri, affettuosi e palpitanti. Dopo l’amplesso, i neuroni sono stanchi e si addormentano, le cellule invece escono a cercare altri neuroni che le soddisfino di più. Verso i cinquant’anni, i neuroni ce l’hanno spesso moscio, così iniziano a guardare le ragazzine e a dire in giro che lo fanno tutti i giorni, più volte al giorno.
Verso i cinquant’anni, le cellule, iniziano a farlo molto più spesso, con tanti neuroni più giovani, amici, amanti e conoscenti, e a dire che non lo fanno più. I neuroni hanno sempre fatto lavori duri e pericolosi. Rischiando la vita in miniera, in guerra e in motocicletta. Essendo forti, hanno, da sempre, sollevato pesi, facendo i manovali, i facchini, i netturbini. Si alzavano alle quattro del mattino per catramare le strade, per zappare nei campi e scaricare il cemento. Emigravano e lavoravano giorno e notte mandando i soldi a casa, per le cellule che, poverine, facevano tanti figli, anche quando loro non c’erano, e non tornavano a casa da anni. Le famiglie crescevano e la prole andava nutrita. Alcune gravidanze duravano anche dodici mesi, quando il neurone tornava a casa soltanto una volta all’anno. Nessuno osava dubitare che tutti quei bambini non fossero del papà neurone che, provvedendo al loro mantenimento ne assumeva, di diritto, la patria potestà.
I neuroni spesso, dopo molti anni di duro lavoro all’estero, tornavano a casa, al paesello di origine, in seno alle famigliole. Ormai erano vecchi e stanchi. Venivano emarginati da parenti e conoscenti, perché li vedevano un po’ strani, nel senso che, non erano più come loro e non agivano mai come ci si aspettava In compenso, le nuove cellulotte erano cambiate un bel po’, molto più allegre, aperte e disponibili. Le trovavi in tutti i luoghi pubblici, in minigonna e calze a rete, prendevano iniziative di ogni genere, uscivano di notte e spesso non tornavano nemmeno a dormire Strizzavano l’occhio e ridevano forte, dappertutto, e quando le incontravi da sole, dicevano sempre di avere tanti problemi con i neuroni indigeni, che erano cafoni, maschilisti e sessualmente retrogradi. Erano tutte insoddisfatte, scontente e bisognose di affetto e di soldi. Insomma, il mondo era cambiato. Loro si sentivano estranei, più di quando facevano gli emigranti nei lontani paesi stranieri. Così, dopo qualche tempo, i neuroni morivano spontaneamente e inaspettatamente, lasciando alle povere cellule, vedove e sole, la pensione, la casa e il conto in banca.
Adesso, come si diceva, le cose sono tutte diverse, infatti anche la protesta del ’68 è già finita da tempo; nessuno protesta più, neanche per il ’69, il 70 o il 71. Tutti i numeri vanno bene. Infatti, qualche tempo fa, quando a Roma, a Piazza del Popolo, alcune cellule giovani e moderne, hanno scritto sui muri, a caratteri cubitali: ‘Lo Sperma C’ inquina’. I neuroni pronti e giocosi, hanno scritto di seguito: ’E il Cazzo Tombola!’.
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